Il racconto che segue
è tratto dal libro “Follia e criminalità” del dottor Tito Gattoni, psichiatra e
criminologo. Il testo l’ho curato io, per cui mi fa piacere offrirvi un
assaggio di questo libro che si trova anche online, edito da Liberedizioni
Un
giorno mi arrivò in reparto un uomo sui trent’anni, magro, biondo, lineamenti
nordici… Poteva sembrare un venditore o un impiegato. Dal primo colloquio,
notai che non aveva nulla che lo accomunasse a un malato di mente. Era uno di
quei tipi languidi e poco incisivi; non avrebbe mai alzato la voce per strada
né aizzato una rissa in un bar. Chiacchierammo uno di fronte all’altro, con la
scrivania e le scartoffie di mezzo, e alla fine mi convinsi che non aveva
bisogno di alcun tipo di farmaco, neppure di ansiolitici, in genere richiesti
dai tossicomani. Lui non aveva mai fatto uso di sostanze, neppure di alcolici,
non aveva mai fumato, insomma era uno “pulito”. Uno che teneva alla sua salute.
Stavo
aspettando con ansia che mi portassero la sua cartella clinica. In accordo con
la dottoressa che lo aveva in cura e con lo psicologo, lo sottoposi a una lunga
serie di test diagnostici e per maggiore sicurezza decisi con i miei colleghi
di avvalermi anche della collaborazione di un istituto universitario.
Opg di Castiglione d/S. Foto di Luciano Perbellini |
Sembrava il classico tipo insospettabile, serio e affidabile,
mentre in verità era pericolosissimo. Aveva un debole per le commesse. Quando
non lavorava, al mattino presto, usciva di casa e vagava per le strade;
individuava un negozio con dentro una giovane commessa, si introduceva oltre la
vetrina e, dopo aver minacciato la donna con un coltello, la faceva spogliare
completamente per abusarne. Dopo la violenza, la chiudeva a chiave in uno
stanzino e prendeva tutto il denaro che trovava. Rapidamente cercava poi di far
perdere le sue tracce: disattivava ogni tipo di telefono e si allontanava con
la sua auto.
La
ragazza, bloccata sul retro del locale, ci metteva del tempo per riprendersi e
dare l’allarme, così nel frattempo lui riusciva a seminare più chilometri in
mezzo e a far perdere le proprie tracce.
Dopo
una serie di fatti simili, gli investigatori riuscirono ad avere la testimonianza
precisa di una donna il cui identikit corrispondeva nei tempi, nelle modalità e
nei luoghi al violentatore seriale. A quel punto fu facile arrestarlo. Aveva
commesso una superficialità: adoperava sempre la stessa auto, la sua auto.
Durante la perquisizione in casa sua, furono trovati dei flaconi di un potente
antipsicotico nascosti nell’armadio. Che egli ammise di assumere perché sentiva
continuamente “voci dialoganti tra loro e disturbanti”.
Condotto
in carcere, l’insospettabile rappresentante di elettrodomestici fu sottoposto a
perizia psichiatrica, ma non ne fece soltanto una, ne collezionò ben nove!
Il suo
caso non convinceva. E più strano era il fatto che, nell’imminenza della
visita psichiatrica, egli smetteva di lavarsi, si urinava e defecava addosso,
si rendeva impresentabile e appena vedeva il perito cominciava a mugugnare e a
straparlare. La risposta al quesito del magistrato era sempre la stessa:
schizofrenia paranoide...
Nessun commento:
Posta un commento