Oggi ci dedichiamo una pagina di 'nostalgie lacustri', con l'ultimo libro di Giorgio Vedovelli.
In molte fotografie degli anni ’50-’60 che documentano scampagnate, anniversari o convivi colpisce la presenza del vino nei fiaschi o nei bicchieri (i gòti). Quasi una costante. Con la dovuta distinzione fra vino bianco e vino rosso: d’altronde, “dalla scelta fra le due varietà si poteva conoscere anche la provenienza del bevitore! Se si andava a Garda e si ordinava un ‘rosso’ subito capivano che venivi da Torri, mentre i Gardesani solitamente preferivano il bianco… La bala era quasi assicurata, la domenica, ma pur sempre limitata a una alla settimana”.
In molte fotografie degli anni ’50-’60 che documentano scampagnate, anniversari o convivi colpisce la presenza del vino nei fiaschi o nei bicchieri (i gòti). Quasi una costante. Con la dovuta distinzione fra vino bianco e vino rosso: d’altronde, “dalla scelta fra le due varietà si poteva conoscere anche la provenienza del bevitore! Se si andava a Garda e si ordinava un ‘rosso’ subito capivano che venivi da Torri, mentre i Gardesani solitamente preferivano il bianco… La bala era quasi assicurata, la domenica, ma pur sempre limitata a una alla settimana”.
Quando il beone arrivava a casa, “la moglie per fargli passare la spiónsa, gli faceva tracannare una
scodella colma di acqua e cenere”. Tutte le cene terminavano con un brindisi e
il vino scorreva nelle case dei contadini, anche se nelle famiglie si consumava
solitamente la versione più leggera, detta vì
picol.
È una Torri del Benaco in bianco e nero, quella
descritta dal professor Giorgio Vedovelli - pensionato ed esperto di storia e cultura gardesana - nel suo ultimo libro, fresco di
stampa per i tipi di Cierre Grafica (Sommacampagna, Verona).
“Torri negli anni ’50 con gli occhi
dei bambini” è un lavoro che, dato alle stampe dopo un paio di anni di
incubazione e appassionata ricerca, racconta quel periodo che fu per il borgo
affacciato sulla riviera veronese del Garda “l’ultimo scampolo di Medioevo”. In
quegli anni, la vita dei Torresani non era poi così diversa dai secoli prima. Ricorda
l’autore: “c’erano ancora stalle in paese e la léssia, il bucato collettivo al lago, impegnava donne e bambini che
si ritrovavano a riva”. Durante la bella stagione i bimbi venivano lavati
all’aperto, nelle corti o anche in piazza. E i primi volti forestieri che
nell’entroterra si perdevano via a raccogliere le more tra i rovi erano visti
con occhi ben poco adoranti, battezzati dagli autoctoni magnamóre.
La piazza, la chiesa e la riva. I tre punti
principali dove si consumava la vita di paese. Le famiglie numerose si
aiutavano a vicenda, i bambini del vicinato crescevano insieme e ogni persona
aveva il suo soprannome, che affiancava il nome di battesimo, o spesso lo
sostituiva del tutto e andava a identificare l’intero casato. Agricoltura e
pesca scandivano i ritmi della comunità. Poco dopo sarebbe esploso il turismo e
le rive del Benaco sarebbero rifiorite con una nuova economia, che avrebbe dato
uno scossone all’esistenza e alle abitudini degli abitanti di Torri. Fino ad
allora, però, la vita era stata segnata “da una grande povertà, con stuoli di
giovani che scappavano all’estero, soprattutto nelle miniere del Belgio e nelle
promettenti fabbriche della Svizzera, per racimolare qualche soldo e con cui
impostare la propria esistenza, formando una famiglia e avviando qualche
piccola impresa una volta tornati a casa”.
Ma Torri, di fatto, era un paese accogliente,
pur nella povertà e semplicità delle sue vie, era come “una grande famiglia”.
Giorgio Vedovelli, allora bambino, ripercorre nel suo volume la vita di paese,
le genuine relazioni umane e quelle sane abitudini di vicinato che facevano
sentire tutti “a casa”.
«Sono stati molti amici e coetanei – ci spiega – a
indurmi a scrivere questo libro, con i nostri ricordi e le immagini dei tempi
dell’infanzia e degli anni ’50, quelli che ancora hanno dei testimoni vivi che
possono ricordare con nostalgia. Spesso si racconta del passato più lontano,
dei secoli precedenti, ma il grande cambiamento a Torri è avvenuto poco più di
sessant’anni fa».
In quegli anni, «si andava tutti d’accordo…
certo, non mancava mai qualcuno che faceva il furbo… ma sostanzialmente c’era un
grande spirito di solidarietà». Quando c’era bisogno, ci si aiutava di slancio,
senza esitare.
È un libro sentito, non manca di evidenziare lo
stesso autore, rivolto principalmente ai compaesani di Torri del Benaco, a
quelli che ancora conservano ricordi di quegli anni ’50-‘60, ma anche ai loro
figli che da questa lettura possono ricavare sensazioni e memorie per un
maggiore senso di comunità, a quanti desiderano conoscere la Torri che fu.
L’obiettivo, si legge nell’introduzione, è infatti quello “di far rivivere un
mondo scomparso, almeno in parte, contribuendo a recuperare un po’ di senso di
identità, un tempo a Torri particolarmente radicato”.
Tra le testimonianze raccolte c’è anche quella
del poeta e romanziere inglese Stephen Spender (1909-1995) che fu a Torri nel
settembre del 1951, ospite con la moglie e il figlio, all’albergo Gardesana, che
negli anni offrì accoglienza a molti illustri personaggi in visita sul lago.
Dalla finestra della sua camera, il poeta ebbe modo di osservare la vita di
Torri che, seppur lentamente, stava cominciando ad abbandonare gli antichi e
sapienti ritmi di un mondo peschereccio e rurale, per proiettarsi verso la
nascente “industria del forestiere”. Ecco allora che l’osservatore attento
lasciò scritto:
La
gente è molto povera e la stagione turistica, intensa soltanto per qualche
settimana, non è di grande sollievo. Ma se essi sono poveri non hanno tuttavia
la sensazione di essere trascurati. Ognuno ha la sua parte nel piccolo teatro
del paese”.
Torri “ha un cuore
sano” e “ognuno recita nello stesso
dramma e ognuno sa qual è la sua parte... Mi sembra il più perfetto paese
del Garda: ciò anche perché è troppo piccolo per essere sommerso dal turismo.
Invece di sopraffarlo, i turisti ne rimangono assorbiti”.
E ancora: ogni cosa qui acquista il valore di uno
spettacolo e ognuno è come Amleto, ‘l’osservatore di tutti gli osservatori’. Un
ragazzino appollaiato sulla banchina prende un pesce. È soltanto una sardina,
ma un fremito appena percettibile di reazione scorre in una ventina di persone
non stanno osservando il ragazzo ma sono... spettatori di ciò che accade nel
porto.
Immagini di Torri del Benaco (Verona)
raccolte e scansionate dallo scrittore Giorgio Vedovelli
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