Ritrovati circa cento disegni e alcuni
dipinti attribuiti al giovane Caravaggio, quando era nella bottega del pittore
Simone Peterzano, dal 1584 al 1588.
Nel castello sforzesco di Milano le opere
sono state rinvenute a inizio luglio da un gruppo di studiosi guidati da due
storici dell’arte bresciani: Maurizio
Bernardelli Curuz, direttore artistico della Fondazione Brescia Musei, e Adriana Conconi Fedrigolli.
Il valore della scoperta, se fosse
confermata la mano di Michelangelo Merisi, è stimato sui 700 milioni di euro. Per
un paio d’anni gli esperti hanno effettuato sopralluoghi e indagini nell’area
di Caravaggio e nelle chiese milanesi, studiando il Fondo Peterzano, custodito
nel castello di proprietà del Comune di Milano e contenente 1.378 disegni del
maestro e degli allievi che lavorarono insieme a lui. La notizia nei
giorni scorsi è rimbalzata su tutti i giornali, prima il grido alla “svolta”,
poi le perplessità degli storici e critici d’arte che invitano alla prudenza e
ad attendere esami ulteriori e più approfonditi.
«Finora non si sapeva molto dall’attività
giovanile di Caravaggio, ma un artista dai 14 ai 25 anni, crea moltissimo e
lascia molti disegni, studi preparatori», osserva Maurizio Bernardelli Curuz che ha risposto alle domande che potete
leggere di seguito.
Direttore, quanto tempo è durata la vostra ricerca?
«Due
anni di impegno intensivo, assoluto, dopo anni di studio».
Quali elementi, in questi disegni, vi hanno portato
a pensare alla mano di Caravaggio?
«Sono
disegni che rinviano in modo inequivocabile alla produzione successiva».
Questa ricerca cosa aggiunge alle conoscenze già
acquisite sulla vita e il percorso giovanile dell’artista?
«Aggiunge
che Caravaggio è il fondatore del naturalismo, ma non riprendeva i suoi
soggetti dal vero, in molti casi. Molti volti che egli applicò nella produzione
romana erano stati già tracciati a Milano. Ciò significa che le opere erano
elaborate concettualmente per lungo tempo. Pertanto Caravaggio non era un
pittore dell’istante, istintivo. Molto importante è l’analisi dell’elaborazione,
che partì da tutto il mondo».
Il valore dei cento disegni, 700 milioni di euro,
su che basi è stimato?
«Sulla
valutazione di mercato dei disegni attribuiti ai grandi della storia
dell’arte».
Adesso, che prospettive si aprono per queste opere
e per la ricerca?
«Si
prospettano mostre e nuovi studi. Ma i risultati sono già visibili nei due
e-book scaricabili da Internet: “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate.
La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi”».
A chi mette in dubbio l’affidabilità della vostra
ricerca, dopo anni di mistero intorno ai quei disegni, lei cosa replica?
«Uso
le parole di Sgarbi: “Per la storia dell’arte si apre una prospettiva molto
interessante, anche perché un artista da giovane è molto attivo e finora si era
sottovalutato il Caravaggio disegnatore”. Vittorio Sgarbi, studioso e critico
d’arte, non ha dubbi sull’importanza della scoperta di un centinaio di disegni
attribuiti Michelangelo Merisi, quando appena adolescente, era allievo nella
bottega del pittore manierista Simone Peterzano.
Ci si aspettava da tempo che a
Bergamo o nel Nord Italia si trovasse qualche tela o disegno preparatorio da
attribuire al giovane Caravaggio, ha affermato Sgarbi, e l’idea di cercare tra
i disegni conservati al Castello Sforzesco di Milano ha premiato questa ipotesi
di studio. È il vantaggio di questo metodo di lavoro che apre a nuove piste di
indagini e che dimostra come l’Italia sia ricca di archivi che custodiscono
tesori».
Eppure, per alcuni critici d’arte non si tratta di
una scoperta ma di “un buco clamoroso”. I disegni presenti nel Fondo
Peterzano potrebbero essere in realtà copie di opere pittoriche di Caravggio,
realizzate da un anonimo, poi inserite nella raccolta?
«Molte
motivazioni portano a escludere totalmente questa possibilità. Innanzitutto è
riscontrabile una forte unità e compattezza nel fondo, all’interno del quale
sono ben identificabili tre mani diverse, a cui si affianca un gruppo esiguo di
schizzi non attribuibili con esattezza.
Fino a oggi moltissime opere erano attribuite
a Peterzano, a dimostrazione dell’uniformità della datazione del corpus.
Inoltre, molti disegni sono stesure acerbe, caratterizzate da tratti incerti,
che denotano una fase disegnativa di formazione».
Quindi?
«Se
un artista avesse copiato un dipinto di Michelangelo Merisi, sarebbe stato
fedele al soggetto, e avremmo quindi fogli puliti e perfettamente
sovrapponibili, in ogni parte, all’opera pittorica. La presenza invece di un
segno impreciso, abbozzato, insicuro testimonia uno studio fisiognomico e
compositivo tipico di un periodo di apprendistato.
Per
di più molti studi sono lacerti e all’apparenza insignificanti, proprio come
avviene nel corso dell’elaborazione di uno stile personale. La frammentarietà
del materiale e la continuità dello stile non lasciano pertanto spazio
all’ipotesi di una ripresa successiva degli stessi soggetti da parte di un
artista che avesse studiato Caravaggio.
I fogli contenuti nel Fondo Peterzano sono dunque il materiale di studio del giovane Michelangelo».
I fogli contenuti nel Fondo Peterzano sono dunque il materiale di studio del giovane Michelangelo».
Quando avete avuto la certezza di trovarvi di
fronte ai disegni di Caravaggio?
«Dopo
avere enucleato con assoluta sicurezza i disegni e lo stile di Peterzano,
abbiamo diviso le altre opere disegnative in base al ductus grafico. Si è così formato un corpus uniforme di oltre cento disegni molto diversi, nella
stesura, da quelli di Peterzano. A questo punto è partita la verifica,
accostando tali opere grafiche ai noti e certi dipinti di Caravaggio.
Le
risultanze sono state sconvolgenti. Quasi ogni disegno o lacerto trovava una
rispondenza pittorica, sia nell’ambito della più stretta sovrapponibilità, sia
in riferimento a studi che rappresentano una fase di avvicinamento alle
soluzioni adottate a partire dal trasferimento romano. Una
prova inconfutabile è stata, inoltre, la reiterazione degli errori, che passa
dalla fase disegnativa della primissima giovinezza, ai quadri della maturità».
Qualche esempio?
«Va notata, a tale proposito, l’incapacità di Caravaggio di realizzare in modo
corretto il muso del bue, errore che passa dal disegno milanese ai dipinti di
Messina e Palermo. Nessun pittore dell’epoca, nell’ambito di uno studio,
avrebbe ripreso un particolare così acerbo e scorretto.
È
altrettanto impossibile che si tratti di un copista, altrimenti il disegno
sarebbe perfettamente sovrapponibile. Un altro errore reiterato riguarda la
morfologia del piede, sia in un suo disegno lombardo, sia
nella Deposizione vaticana. Le prove di autografia sono molteplici».
(Pubblicato
sul settimanale Verona Fedele del 15
luglio 2012)
Francesca Gardenato
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