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sabato 11 maggio 2013

Torri del Benaco, anni '50

Oggi ci dedichiamo una pagina di 'nostalgie lacustri', con l'ultimo libro di Giorgio Vedovelli.

In molte fotografie degli anni ’50-’60 che documentano scampagnate, anniversari o convivi colpisce la presenza del vino nei fiaschi o nei bicchieri (i gòti). Quasi una costante. Con la dovuta distinzione fra vino bianco e vino rosso: d’altronde, “dalla scelta fra le due varietà si poteva conoscere anche la provenienza del bevitore! Se si andava a Garda e si ordinava un ‘rosso’ subito capivano che venivi da Torri, mentre i Gardesani solitamente preferivano il bianco… La bala era quasi assicurata, la domenica, ma pur sempre limitata a una alla settimana”. 

Quando il beone arrivava a casa, “la moglie per fargli passare la spiónsa, gli faceva tracannare una scodella colma di acqua e cenere”. Tutte le cene terminavano con un brindisi e il vino scorreva nelle case dei contadini, anche se nelle famiglie si consumava solitamente la versione più leggera, detta vì picol.



È una Torri del Benaco in bianco e nero, quella descritta dal professor Giorgio Vedovelli - pensionato ed esperto di storia e cultura gardesana - nel suo ultimo libro, fresco di stampa per i tipi di Cierre Grafica (Sommacampagna, Verona). 
Torri negli anni ’50 con gli occhi dei bambini” è un lavoro che, dato alle stampe dopo un paio di anni di incubazione e appassionata ricerca, racconta quel periodo che fu per il borgo affacciato sulla riviera veronese del Garda “l’ultimo scampolo di Medioevo”. In quegli anni, la vita dei Torresani non era poi così diversa dai secoli prima. Ricorda l’autore: “c’erano ancora stalle in paese e la léssia, il bucato collettivo al lago, impegnava donne e bambini che si ritrovavano a riva”. Durante la bella stagione i bimbi venivano lavati all’aperto, nelle corti o anche in piazza. E i primi volti forestieri che nell’entroterra si perdevano via a raccogliere le more tra i rovi erano visti con occhi ben poco adoranti, battezzati dagli autoctoni magnamóre.
La piazza, la chiesa e la riva. I tre punti principali dove si consumava la vita di paese. Le famiglie numerose si aiutavano a vicenda, i bambini del vicinato crescevano insieme e ogni persona aveva il suo soprannome, che affiancava il nome di battesimo, o spesso lo sostituiva del tutto e andava a identificare l’intero casato. Agricoltura e pesca scandivano i ritmi della comunità. Poco dopo sarebbe esploso il turismo e le rive del Benaco sarebbero rifiorite con una nuova economia, che avrebbe dato uno scossone all’esistenza e alle abitudini degli abitanti di Torri. Fino ad allora, però, la vita era stata segnata “da una grande povertà, con stuoli di giovani che scappavano all’estero, soprattutto nelle miniere del Belgio e nelle promettenti fabbriche della Svizzera, per racimolare qualche soldo e con cui impostare la propria esistenza, formando una famiglia e avviando qualche piccola impresa una volta tornati a casa”.
Ma Torri, di fatto, era un paese accogliente, pur nella povertà e semplicità delle sue vie, era come “una grande famiglia”. Giorgio Vedovelli, allora bambino, ripercorre nel suo volume la vita di paese, le genuine relazioni umane e quelle sane abitudini di vicinato che facevano sentire tutti “a casa”. 
«Sono stati molti amici e coetanei – ci spiega – a indurmi a scrivere questo libro, con i nostri ricordi e le immagini dei tempi dell’infanzia e degli anni ’50, quelli che ancora hanno dei testimoni vivi che possono ricordare con nostalgia. Spesso si racconta del passato più lontano, dei secoli precedenti, ma il grande cambiamento a Torri è avvenuto poco più di sessant’anni fa».
In quegli anni, «si andava tutti d’accordo… certo, non mancava mai qualcuno che faceva il furbo… ma sostanzialmente c’era un grande spirito di solidarietà». Quando c’era bisogno, ci si aiutava di slancio, senza esitare.
È un libro sentito, non manca di evidenziare lo stesso autore, rivolto principalmente ai compaesani di Torri del Benaco, a quelli che ancora conservano ricordi di quegli anni ’50-‘60, ma anche ai loro figli che da questa lettura possono ricavare sensazioni e memorie per un maggiore senso di comunità, a quanti desiderano conoscere la Torri che fu. L’obiettivo, si legge nell’introduzione, è infatti quello “di far rivivere un mondo scomparso, almeno in parte, contribuendo a recuperare un po’ di senso di identità, un tempo a Torri particolarmente radicato”.
Tra le testimonianze raccolte c’è anche quella del poeta e romanziere inglese Stephen Spender (1909-1995) che fu a Torri nel settembre del 1951, ospite con la moglie e il figlio, all’albergo Gardesana, che negli anni offrì accoglienza a molti illustri personaggi in visita sul lago. Dalla finestra della sua camera, il poeta ebbe modo di osservare la vita di Torri che, seppur lentamente, stava cominciando ad abbandonare gli antichi e sapienti ritmi di un mondo peschereccio e rurale, per proiettarsi verso la nascente “industria del forestiere”. Ecco allora che l’osservatore attento lasciò scritto: 
La gente è molto povera e la stagione turistica, intensa soltanto per qualche settimana, non è di grande sollievo. Ma se essi sono poveri non hanno tuttavia la sensazione di essere trascurati. Ognuno ha la sua parte nel piccolo teatro del paese”. 
Torri ha un cuore sano” e “ognuno recita nello stesso dramma e ognuno sa qual è la sua parte... Mi sembra il più perfetto paese del Garda: ciò anche perché è troppo piccolo per essere sommerso dal turismo. Invece di sopraffarlo, i turisti ne rimangono assorbiti”. 
E ancora: ogni cosa qui acquista il valore di uno spettacolo e ognuno è come Amleto, ‘l’osservatore di tutti gli osservatori’. Un ragazzino appollaiato sulla banchina prende un pesce. È soltanto una sardina, ma un fremito appena percettibile di reazione scorre in una ventina di persone non stanno osservando il ragazzo ma sono... spettatori di ciò che accade nel porto.

Immagini di Torri del Benaco (Verona)
raccolte e scansionate dallo scrittore Giorgio Vedovelli


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