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sabato 23 maggio 2015

Viaggio nel tempo, alle radici del cibo

2077 a.C. Esattamente qui ci riporta la mostra desenzanese, che sarà inaugurata oggi pomeriggio (23 maggio 2015) alle 17 presso il Museo civico archeologico “G.Rambotti” di Desenzano del Garda. “Back To The Roots – Alle radici del cibo” è uno speciale percorso espositivo sul tema dell’alimentazione all’epoca delle palafitte, declinato nei diversi musei della Lombardia orientale e collegato al titolo di Expo Milano 2015 “Nutrire il pianeta…”

La mostra dal titolo “2077 BC Into The Groove… Nel solco dell’aratro” rimarrà allestita a Desenzano, nel museo su via Anelli fino al 6 gennaio 2016 e, a parte l’ingresso gratuito di oggi, la sua visita sarà poi inclusa nel prezzo del biglietto museale.
L’aratro rappresenta il punto di partenza per sviluppare una serie di tematiche legate all’agricoltura preistorica, e non solo: si vedranno quindi esposti attrezzi connessi alle attività agricole rinvenuti nelle palafitte, resti d’aratura scoperti nel corso di ricerche archeologiche, rappresentazioni e significati delle arature stesse. Una parte approfondirà le attività di caccia e di pesca, rappresentate attraverso gli strumenti usati per la caccia (cuspidi di frecce in selce, corno, bronzo, ami, arpioni) e le testimonianze più significative e leggibili delle faune cacciate e raccolte (palchi di cervo con cranio, vertebre di pesce, unio, tartaruga). Infine, un focus sarà dedicato alla “cucina”, ossia al focolare e a quanto anticamente adoperato per la preparazione dei cibi: grandi doli per immagazzinare cereali, recipienti in ceramica e legno per contenere il cibo, pentole…
Il progetto “Back To The Roots – Alle radici del cibo” interessa i musei archeologici della Lombardia orientale che conservano materiale provenienti degli abitati palafitticoli del Lavagnone (Museo di Desenzano del Garda),  Lucone di Polpenazze (Museo di Gavardo), San Sivino (Museo di Manerba del Garda), Bande di Cavriana (Museo di Cavriana) e Lagazzi del Vho (Museo di Padena) iscritti nel sito seriale transnazionale Unesco “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della Regione Lombardia.

Negli abitati palafitticoli la forte umidità, o l’immersione nell’acqua, ha permesso la conservazione in questi ambienti di materiali organici spesso rinvenuti in ottimo stato: il legno (per realizzare manufatti quali aratri, piroghe, recipienti…), vari tipi di intreccio (corde, cesti) e resti di piante e pollini recuperati nei sedimenti lacustri che costituiscono una fondamentale risorsa per conoscere le caratteristiche dell’ambiente naturale e la dieta delle antiche popolazioni. 
Dagli scavi archeologici provengono numerose altre testimonianze che riguardano l’agricoltura, l’allevamento, la lavorazione dei metalli e che offrono informazioni su contatti e influssi anche a lunghe distanze. Tutto ciò rende i siti palafitticoli di notevole interesse per il tema centrale di Expo 2015: l’alimentazione, food!
I percorsi tematici sull’alimentazione all’interno dei musei partono dall’analisi dei dati di scavo, vecchi e recenti, e con l’ausilio delle analisi paleobotaniche e archeozoologiche. Vengono affiancati laboratori didattici progettati ad hoc, soprattutto per le scuole. Tutti gli apparati didattici, pannelli e catalogo, sono redatti in italiano e inglese: la scelta delle due lingue “ufficiali” è evocata anche nel titolo generale e nei sottotitoli, specifici per ogni museo, delle mostre.

Il Museo "G.Rambotti" è aperto e visitabile nei seguenti giorni e orari:
martedì e mercoledì ore 9-13, giovedì e venerdì 15-19, sabato, domenica e festivi 14.30-19.


sabato 9 maggio 2015

Dai Radio alla tua Voce e divertiti con Noi...

La settimana che si conclude porta con sé l’avvio di una nuova e appassionante avventura radiofonica: #dairadioallatuavoce
Due webradio unite in un progetto giovane:
Radio Noi Musica e GLabRadio
Da mercoledì 6 maggio al prossimo 3 giugno Radio Noi Musica, con la consulenza di Fragar comunicazione.eventi e l’organizzazione del laboratorio universitario di GLabRadio – la prima webradio universitaria – dell’Università degli Studi di Brescia, “diamo radio” alla voce di oltre venti giovani, appassionati e curiosi del mezzo di comunicazione più dinamico e stimolante, che ha saputo adattarsi ai cambiamenti dei tempi e riacquistare vigore nel nuovo millennio.
Dopo il primo incontro conoscitivo, le prossime sette serate del corso “Dai radio alla tua voce” coinvolgeranno i ragazzi di GLabRadio in una serie di esperienze teoriche ma soprattutto pratiche, partendo dalle basi (conoscere noi stessi, la nostra voce e il nostro apparato fonatorio con l’aiuto di un’attrice) per vivere e lavorare meglio con la propria voce, parlare con più scioltezza e farsi capire senza annoiare.
A chi non è mai capitato di provare un senso di “fastidio” nel riascoltare la propria voce?!
Assaggi di dizione, lettura espressiva, comunicazione verbale e paraverbale, esercitazioni di conduzione fino alla “cucina” dell’informazione (come scrivere pezzo per il Gr) per imparare a usare meglio quello strumento straordinario ed entusiasmante che è la nostra VOCE, per parlare al microfono, in pubblico o con chi ci va!
Per gli appassionati, non mancheranno le note tecniche sul carattere della radio, il palinsesto e i format radiofonici… fino, naturalmente, al bello della diretta!!!
Conclusione, mercoledì 3 giugno, affidata a una delle voci più note di RTL 102.5, la radio numero uno in Italia. Seguirà, infine, la visita promossa dallo staff di GLabRadio agli Studi Radio Televisivi della Rai a Milano.

Le nostre vite sono determinate dalle opportunità,
anche da quelle che ci lasciamo sfuggire”
(Benjamin Button)


sabato 2 maggio 2015

Pittura e devianza. Quando la "follia" crea l'opera d'arte...

Ogni opera d’arte è un crimine non commesso diceva il sociologo tedesco Teodoro Adorno”. Esordisce così, davanti alla platea di ragazzi dell’Istituto Bazoli-Polo di Desenzano, lo psichiatra, psicoterapeuta e criminologo Tito Gattoni, invitato a parlare di arte e devianza. Ovvero cosa succede quando la "follia" ispira il processo creativo? Può nascere l’opera d’arte, come è accaduto a dei grandi della storia dell’arte mondiale, da Caravaggio ai tempi moderni. Conferma lo psichiatra desenzanese che senza un pizzico di follia o di infelicità l’ispirazione sopraggiunge con più fatica.
«L’artista che soffre di certe patologie trasfigura la realtà perché non riesce ad accettarla e crea un proprio mondo fatto di temi e personaggi fantastici. È come un canale che parte dall’inconscio e diventa opera d’arte… Chi non crea, rischia di distruggere: il narcisismo maligno infatti ispira i serial killer!»
Comincia dall’inconscio e dalla storia dell’arte più moderna l’analisi del dottor Gattoni, autore di varie pubblicazioni e appassionato di arte e storia. «È soprattutto dopo il Medioevo, dal 1500, che l’artista inizia a trasmettere ciò che la realtà infonde in lui e comincia ad emergere la sua psicologia».
L’artista, dunque, come anche lo scrittore o il poeta, «crea per soddisfare il proprio bisogno narcisistico di continuare a vivere attraverso le sue opere. C’è un preciso desiderio che si esprime nell’arte: superare lo spazio temporale e diventare immortali, lasciando ai posteri qualcosa che racconta di noi».
Dal test di Max Luscher
Traendo spunto dagli studi dello psicologo svizzero Max Luscher, che aveva approfondito l’utilizzo del colore attraverso campioni della popolazione mondiale, Gattoni ha ricordato come l’uso del colore nasce da una scelta inconscia e la mescolanza di più colori può permettere una lettura psicoanalitica del pittore: per esempio, la predominanza del nero nei quadri di Caravaggio, del giallo in Van Gogh, del rosso in Gauguin... Luscher aveva creato un test psicologico che analizzava lo stato d’animo di un soggetto in base alla sua preferenza per i colori, e anche la pubblicità si è avvalsa dei suoi studi.
"Giuditta che taglia la testa a Oloferne"
Tito Gattoni, mostrando i quadri e l’uso dei colori e delle forme da parte di alcuni artisti psicotici o affetti da disturbi mentali, ricostruisce la personalità dell’artista stesso, la sua psicopatologia, legata anche alle caratteristiche e alle rappresentazioni dei quadri, in rapporto alla storia di ognuno. Michelangelo Merisi da Caravaggio, per esempio, soffriva di disturbo antisociale di personalità. Fu “pittore maledetto”, già famoso in vita, con un’esistenza tormentata. Utilizzava molto il nero, colore della morte e dell’assolutismo, simbolo anche di uno stato depressivo, e il marrone, fusione cromatica tra rosso-sangue e nero-morte. 
"Campo di grano con corvi"

Nell’Ottocento l'olandese Vincent Van Gogh, affetto da disturbo schizoaffettivo e morto suicida, era tormentato da disturbi dissociativi con deliri di onnipotenza. Nei suoi primi quadri prevaleva il giallo, colore del sole e simbolo di energia vitale, maestà e potere ma anche di una certa agitazione interiore e il blu con la sua voglia di pace e tranquillità. Van Gogh si ritraeva spesso nei suoi quadri, nell’ultimo periodo lui diventa il cipresso nero nel “Campo di grano” sorvolato dai corvi, presagio di morte. La prevalenza, in un secondo momento della sua vita artistica, dell’arancione (ottenuto giallo più arancio) esprime la sua eccitazione senza meta e “La notte stellata”, uno dei suoi dipinti più famosi, c’è tutta la sua voglia di quiete.

"Golgota"
Sul finire dell’800 il parigino Paul Gauguin, post-impressionista, dipingeva “visioni” in cui spiccava il rosso: era afflitto da disturbo borderline di personalità con episodi depressivi maggiori; si diede all’alcol, alle donne e contrasse la sifilide, che lo portò alla morte.
La tigre di Ligabue
Edvard Munch, tra ‘800 e ‘900, è il pittore dell’angoscia, tormentato da frequenti attacchi di panico. Infatti il quadro che meglio lo rappresenta è “L’urlo”, divenuto emblema del periodo storico e del suo stato mentale: raffigura se stesso terrorizzato, con presagio di guerra e di morte, che ritornano in altre opere, come il “Golgota” o la “Sera nel corso”. 
Antonio Ligabue invece, artista italiano visionario, era affetto da schizofrenia e “La tigre” esprime l’aggressività che sentiva dentro di sé, dipinta su un fondo blu che anela alla pace. 
"Veduta di Palazzo e Teatro imperiali"
Adolf Hitler fu anche lui artista. Sognava di diventare architetto, ma tanto era bravo nel disegnare luoghi e palazzi, tanto era negato nel rappresentare i volti delle persone. Le sue erano più caricature, poco apprezzate dai professori dell’Accademia di Belle arti di Vienna che non lo ammisero, generando in lui un senso di sconfitta e alimentando il suo disturbo paranoide di personalità, un narcisismo maligno che lo portò a desiderare di dominare gli altri e distruggere ciò che non poteva avere.

Salvador Dalì, pittore catalano tra i più incisivi del Novecento, fu un visionario con eccezionale capacità tecnica. Soffriva di disturbo fobico-ossessivo con sadismo sessuale (era impotente) e nei suoi quadri, per esempio i famosi “orologi molli”, prevalgono il nero-morte e il blu-desiderio di pace, il senso del tempo che sfugge e il senso di impotenza. 
In tutti questi artisti, come in alcuni quadri realizzati dai pazienti dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, «lo stato di disagio interiore – conclude il dottor Gattoni – spinge l’artista a esprimere attraverso l’opera d’arte uno stato di tensione inconscia, che racchiude anche desideri, pulsioni ed emozioni spesso sconosciuti all’autore stesso. L’arte diventa così catartica, come supporto alle terapie tradizionali, e aumento dell’autostima nella contemplazione dell’opera finita…».

“Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida e visionaria follia”

(Erasmo Da Rotterdam)