Un piatto di pasta, ma quanta storia contiene?
Le
lasagne nell’antica Roma, le differenze ancestrali tra raviolo e agnolotto in
età medievale, le sperimentazioni e le scoperte geografiche che hanno
modificato abitudini di cottura e scelta degli ingredienti. La
pasta, da secoli presente nelle famiglie,
è diventata grazie alla pubblicità moderna emblema di semplicità e tradizione,
senza mai perdere il suo valore originale di piatto che nutre e unisce. Non solo ricette, dunque, ma anche tanta cultura!
Pasta fresca, secca o ripiena, nel
suo repertorio ha mille nomi: spaghetti, fettuccine, matasse, maltagliati,
sedanini, stelle, quadrucci, ravioli, tortelli e tortellini, pappardelle... Sta
di fatto che, come sottolinea il giornalista e critico gastronomico Jacopo Fontaneto (nella foto in basso),
docente di Storia della Cucina, «la
pasta è identità della nostra cucina italiana nel mondo ed è identità del
nostro pianeta. È merito degli italiani se tutti la conoscono e, come la pizza, incontra il palato
universale e si cucina ormai in tutti i Paesi del globo. Con la pasta, inoltre,
si affermano sia il concetto della dieta mediterranea
sia il principio della struttura del pasto latino: con distinzione del primo e
del secondo piatto (la mensa), che
seguono all’aperio o antipasto».
Origini, leggende e storia si
intrecciano con una cultura nobile e popolare insieme, che
ha attraversato due millenni e di è evoluta, strizzando l’occhio a nuove
scoperte e sapori esotici. «La pasta era già conosciuta nell’antica Roma – continua
l’esperto –. Il lavoro di ricerca nella gastronomia a volte ci riserva scoperte
e soddisfazioni incredibili, come scoprire che i ricettari esistevano già ai
tempi degli antichi romani. La pasta però incontra il concetto di bollitura solo
in età medievale ed è lì che nascono le paste fresche ripiene e dalla torta
salata ripiena nasce poi la torta piccola e, a seguire, il tortello».
Il critico gastronomico Jacopo Fontaneto (al centro) |
Anche
i tipi e i formati di pasta sono tanti, almeno quasi quante le regioni del
Belpaese. Al Sud le tradizioni antiche si conservano meglio. Per esempio,
continua il critico gastronomico, «le lagane romane, simili alle nostre pappardelle
e progenitrici delle lasagne, erano fatte con i legumi venivano mangiate con il
ragù. Tipi di pasta simili alle lagane si trovano ancora oggi nella cucina
campana e meridionale».
Se
fare la pasta in casa era un rituale
per le nostre nonne, sapienti massaie, che iniziavano il sabato o la domenica
mattina presto per averla pronta per il pranzo in famiglia, oggi la questione è
come risparmiare tempo e scegliere gli ingredienti giusti tra le migliaia a
scaffale nel supermercato.
Succedeva
nella Roma imperiale, in età rinascimentale, con i viaggi di scoperta e ai
giorni nostri con la globalizzazione: gli ingredienti si mescolano e la cucina diventa
sempre più creativa. Alla pasta con il sugo, il ragù o con i fagioli – pasta e fasoi, ecco un piatto tipico veronese
– si aggiungono nuovi abbinamenti, per
esempio un maggiore utilizzo delle spezie e di sapori orientali. Nel tempo sono
pure cambiati i metodi di cottura, le abitudini, gli stili e i ritmi di vita.
Oggi la pasta si compra precotta per averla pronta in pochi minuti.
«Le
prime descrizioni in epoca romana –
riprende Fontaneto – parlano di sfoglie alternate con farcia di carne, ma non
erano bollite, bensì messe direttamente nel forno. È con l’affermazione del
principio di bollitura della pasta, nel Medioevo, che ci si avvicina al
concetto di pasta fresca ripiena. Altro esempio: gli agnolotti derivano dagli “agnellotti”,
che si preparavano con un ripieno di carne d’agnello».
Nella storia gastronomica, l’incontro
della nostra tradizione di pasta italiana con il Nuovo Mondo sancisce un
importante cambiamento.
«Nel 1492 la pasta incontra il pomodoro.
La scoperta dell’America è stata un grande spartiacque per la gastronomia. In
Europa arrivano i prodotti del Nuovo
Mondo, per esempio le patate, che si incontrano con un altro piatto, il baccalà, che proviene dalle isole
Lofoten, un arcipelago della Norvegia dove poco prima del 1492 il nobile
mercante veneziano Pietro Querini fa
naufragio e lo importa in Italia. Dall’Estremo
Oriente era già arriva il riso, ancora nel Mille da Carlo Magno, più tardi (intorno alla metà del 1400) grazie al duca
di Milano la risicultura si diffonde nelle nostre zone. Quindi tra XV e il XVI
secolo cambia tutto nella gastronomia italiana ed europea. Si pensi che il
pomodoro – rimarca l’esperto – all’inizio veniva tenuto in casa come pianta
ornamentale, si pensava addirittura che fosse velenoso. Sarà solo nel 1800 che
la pasta incontrerà il pomodoro e i giochi saranno fatti. Ecco l’inizio di una
nuova era!».
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Un ritratto di Pellegrino Artusi |
Pellegrino Artusi, gastronomo
e critico letterario dell’Ottocento, nel suo manuale “La scienza in cucina
e l’arte di mangiar bene” ha codificato la cucina regionale italiana e
creato un unico ricettario valido ancora oggi, tanto da essere il libro più
letto della cucina italiana; raccoglie le tradizioni di un’Italia divisa
geograficamente ma unita a tavola da un piatto di pastasciutta.
La cottura ideale?
«Senza dubbio al dente», per la migliore conservazione dei valori nutritivi, della
digeribilità e di un senso di sazietà. L’Italia della pasta si divide tra i
sostenitori di quella liscia e gli amanti di quella rigata: la prima è più
leggera, la seconda ha il pregio di legarsi meglio al sugo. Per entrambe vale
la regola che siano rigorosamente trafilate
al bronzo, per avere quella consistenza ruvida, che garantisce più sapore e
tenuta in cottura, quindi maggiore resa nella ricetta finale.
(Pubblicato sul settimanale Verona Fedele del 13 marzo 2016)
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