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sabato 10 gennaio 2015

Schizofrenia paranoide... diagnosi sospetta

Il racconto che segue è tratto dal libro “Follia e criminalità” del dottor Tito Gattoni, psichiatra e criminologo. Il testo l’ho curato io, per cui mi fa piacere offrirvi un assaggio di questo libro che si trova anche online, edito da Liberedizioni

Un giorno mi arrivò in reparto un uomo sui trent’anni, magro, biondo, lineamenti nordici… Poteva sembrare un venditore o un impiegato. Dal primo colloquio, notai che non aveva nulla che lo accomunasse a un malato di mente. Era uno di quei tipi languidi e poco incisivi; non avrebbe mai alzato la voce per stra­da né aizzato una rissa in un bar. Chiacchierammo uno di fronte all’altro, con la scrivania e le scartoffie di mezzo, e alla fine mi convinsi che non aveva bisogno di alcun tipo di farmaco, neppure di ansiolitici, in genere richiesti dai tossicomani. Lui non aveva mai fatto uso di sostanze, neppure di alcolici, non aveva mai fumato, insomma era uno “pulito”. Uno che teneva alla sua salute.
Stavo aspettando con ansia che mi portassero la sua cartella clinica. In accordo con la dottoressa che lo aveva in cura e con lo psicologo, lo sottoposi a una lunga serie di test diagnostici e per maggiore sicurezza decisi con i miei colleghi di avvalermi anche della collaborazione di un istituto universitario.
Opg di Castiglione d/S. Foto di Luciano Perbellini
Non era evidentemente uno pulito e innocuo come sembrava. Era qui perché aveva commesso numerose violenze sessuali e rapine in Lombar­dia. Lavorava regolarmente come rappresentante per una famosa ditta di elettrodomestici e non era sposato. 
Sembrava il classico tipo insospet­tabile, serio e affidabile, mentre in verità era pericolosissimo. Aveva un debole per le commesse. Quando non lavorava, al mattino presto, usciva di casa e vagava per le strade; individuava un negozio con dentro una giovane commessa, si introduceva oltre la vetrina e, dopo aver minacciato la donna con un coltello, la faceva spogliare completamente per abusarne. Dopo la violenza, la chiudeva a chiave in uno stanzino e prendeva tutto il denaro che trovava. Rapidamente cercava poi di far perdere le sue tracce: disattivava ogni tipo di telefono e si allontanava con la sua auto.
La ragazza, bloccata sul retro del locale, ci metteva del tempo per ri­prendersi e dare l’allarme, così nel frattempo lui riusciva a seminare più chilometri in mezzo e a far perdere le proprie tracce.
Dopo una serie di fatti simili, gli investigatori riuscirono ad avere la te­stimonianza precisa di una donna il cui identikit corrispondeva nei tempi, nelle modalità e nei luoghi al violentatore seriale. A quel punto fu facile arrestarlo. Aveva commesso una superficialità: adoperava sempre la stessa auto, la sua auto. Durante la perquisizione in casa sua, fu­rono trovati dei flaconi di un potente antipsicotico nascosti nell’armadio. Che egli ammise di assumere perché sentiva continuamente “voci dialo­ganti tra loro e disturbanti”.
Condotto in carcere, l’insospettabile rappresentante di elettrodomestici fu sottoposto a perizia psichiatrica, ma non ne fece soltanto una, ne col­lezionò ben nove!
Il suo caso non convinceva. E più strano era il fatto che, nell’im­minenza della visita psichiatrica, egli smetteva di lavarsi, si urinava e defecava addosso, si rendeva impresentabile e appena vedeva il perito cominciava a mugugnare e a straparlare. La risposta al quesito del magi­strato era sempre la stessa: schizofrenia paranoide...


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