Il tiro a volo è una
delle discipline che contribuiscono al medagliere italiano e proprio la scorsa
settimana, sul Garda bresciano, i riflettori dell’Italia sportiva e del mondo
sono stati puntati su Lonato per il Campionato
mondiale di tiro a volo 2015.
Questo evento mondiale ha portato al Trap
Concaverde, unico impianto in Italia e in Europa a disporre di ben 12
campi di tiro, oltre 800 atleti da 92
nazioni e decine di giornalisti, tecnici ed esperti del settore tra il 10 e
il 18 settembre scorso.
Un ringraziamento
particolare a Renato Roberti, autore di questa fotografia, e all’ufficio stampa del
Trap Concaverde.
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Giovanni Pellielo nella foto di R.Roberti |
È argento ai Mondiali di tiro a volo 2015 per Giovanni Pellielo, 45enne vercellese
detto “Johnny”, che a Lonato ha
provato a rincorrere il quinto titolo mondiale. Dopo un inizio in salita, il traguardo si è tinto d’argento.
La sua corsa si è arrestata alla fine del
duello con lo slovacco Erik Varga. Pellielo ha infilato l’ultima cartuccia nel
fucile con la vittoria praticamente in pugno, essendo avanti di un piattello,
ma doveva posizionarsi e imbracciare il fucile in fretta. Troppo in fretta:
«Sono andato in affanno – ha raccontato Pellielo alla stampa – e non ho avuto
il tempo materiale di prepararmi che è partito il piattello. Non mi era mai
successo». L’ultimo piattello della finale è schizzato a sinistra senza infrangersi.
Agli spari supplementari Pellielo è arrivato teso e ha sbagliato il secondo
tiro, mancando d’un pelo l’oro mondiale.
«La speranza dell’oro non nego che c’era –
dichiara qualche ora dopo il campione a Verona
Fedele – ma sono contento perché rispetto a come ero partito, in netta
salita, la gara ha preso una bella piega. Il finale poteva essere d’oro, se non
sbagliavo quell’ultimo colpo, ma sono
soddisfatto per come è andata».
Le sensazioni sul mondiale sono tante, ma non c’è amarezza nelle parole di “Johnny”.
«È stato un campionato del mondo che ha messo a
dura prova la mia tensione e i miei nervi. Lo ricorderò solo per la meraviglia
di essere arrivato in finale. Mi ritengo una persona normale e so quello che ho
fatto. Non traggo mai amarezza dalle competizioni, piuttosto porto via la consapevolezza dei miei limiti
per lavorarci, migliorare, senza accanirmi sui risultati. Sarebbe un
insulto alla vita sportiva crucciarsi per un secondo posto. Una medaglia d’argento a un mondiale,
disputato individualmente, è sempre un
ottimo risultato. C’è, sì, la consapevolezza di poter raggiungere un
traguardo ogni volta superiore, ma la ricerca è prima di tutto interiore».
Pellielo, del resto, è uomo da circa 50mila colpi l’anno. Uno sportivo con la s maiuscola. Ha iniziato la sua carriera nel giorno
del suo diciottesimo compleanno,
dopo anni di ballo. Complice la madre, che da tempo praticava il tiro a volo
(come anche i fratelli di Giovanni) e lo ha accompagnato per la prima volta in
un poligono. Appena quattro anni dopo, è stato convocato per partecipare alle
Olimpiadi di Barcellona del 1992, dove si è classificato a ridosso della finale
a sei. Da lì, un’escalation di successi:
ha vinto sei finali di Coppa del mondo, quattro titoli mondiali, tre titoli
europei, 17 prove di Coppa del mondo, 10 titoli italiani, due volte campione ai
Giochi del Mediterraneo, la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Sydney 2000,
l’argento ad Atene 2004 e a Pechino 2008. Risultati a livello individuale, cui
si aggiungono quelli a squadre. Tutte soddisfazioni raggiunte trascorrendo
anche 10-12 ore al giorno in campo. Sacrifici sostenibili grazie alla grande
passione e alla motivazione che animano Giovanni Pellielo.
«Nella
vita di uno sportivo ci sono due lati – continua l’atleta –: da una parte la
soddisfazione del bisogno e dall’altra la motivazione. Se ci si ferma al primo,
si è finiti come uomini e come sportivi. La motivazione invece è un qualcosa
che non si esaurisce e ti spinge sempre avanti».
Pellielo è uomo
di fede, cattolico convinto. E anche questo fa la differenza. Forse è un
personaggio atipico nel mondo dello sport, ma che non passa inosservato per le
sue riflessioni. Nel 2000 è stato convocato in udienza da papa Giovanni Paolo
II in Vaticano, ed è stato premiato con il “Discobolo d’oro” per la morale,
alla presenza del cardinale Ruini.
La
fede per lui è un insegnamento e un invito al miglioramento continuo,
nella vita come nello sport. «Non può finire con la medaglia, che è un momento
di gloria, ma bisogna andare oltre – afferma –. Non possiamo vivere di speranze
e di ricordi, ma dobbiamo sempre fare del nostro meglio». Come? «La preghiera aiuta a migliorare noi stessi,
a scavare più a fondo dentro di noi».
Viene spontaneo chiedergli se un atleta del suo
calibro, prima di un mondiale, preghi per la vittoria. «Non prego mai per
chiedere aiuto o avere maggiore forza nelle gare, prego per necessità diverse,
come ci insegnano papa Francesco e i padri della chiesa, come nel Padre
nostro». Vincere è anche «avvicinare la
preghiera al fare quotidiano» e «avere negli occhi l’amore di Dio».
Manca l’oro olimpico nel palmares di Giovanni
Pellielo, ma lui non se ne fa un cruccio. «È l’unico colore che mi manca e
cercherò di farcela. Altrimenti si va avanti lo stesso. Il tiro a volo è la mia
vita e continuerò a praticarlo».
Francesca
Gardenato
(articolo pubblicato sul settimanale Verona Fedele)