
«L’artista che soffre di certe patologie
trasfigura la realtà perché non riesce ad accettarla e crea un proprio mondo
fatto di temi e personaggi fantastici. È come un canale che parte
dall’inconscio e diventa opera d’arte… Chi non crea, rischia di distruggere: il
narcisismo maligno infatti ispira i serial killer!»
Comincia dall’inconscio e
dalla storia dell’arte più moderna l’analisi del dottor Gattoni, autore di
varie pubblicazioni e appassionato di arte e storia. «È soprattutto dopo il
Medioevo, dal 1500, che l’artista inizia a trasmettere ciò che la realtà
infonde in lui e comincia ad emergere la sua psicologia».
L’artista, dunque, come anche lo scrittore o il
poeta, «crea per soddisfare il proprio bisogno narcisistico di continuare a
vivere attraverso le sue opere. C’è un preciso desiderio che si esprime nell’arte:
superare lo spazio temporale e diventare immortali, lasciando ai posteri qualcosa
che racconta di noi».
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Dal test di Max Luscher |
Traendo spunto dagli studi dello psicologo
svizzero Max Luscher, che aveva approfondito l’utilizzo del colore attraverso
campioni della popolazione mondiale, Gattoni ha ricordato come l’uso del colore
nasce da una scelta inconscia e la mescolanza di più colori può permettere una
lettura psicoanalitica del pittore: per esempio, la predominanza del nero nei
quadri di Caravaggio, del giallo in Van Gogh, del rosso in Gauguin... Luscher
aveva creato un test psicologico che analizzava lo stato d’animo di un soggetto
in base alla sua preferenza per i colori, e anche la pubblicità si è avvalsa
dei suoi studi.
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"Giuditta che taglia la testa a Oloferne" |
Tito Gattoni, mostrando i quadri e l’uso dei colori
e delle forme da parte di alcuni artisti psicotici o affetti da disturbi
mentali, ricostruisce la personalità dell’artista stesso, la sua
psicopatologia, legata anche alle caratteristiche e alle rappresentazioni dei
quadri, in rapporto alla storia di ognuno. Michelangelo Merisi da Caravaggio, per esempio, soffriva di
disturbo antisociale di personalità. Fu “pittore maledetto”, già famoso in
vita, con un’esistenza tormentata. Utilizzava molto il nero, colore della morte
e dell’assolutismo, simbolo anche di uno stato depressivo, e il marrone,
fusione cromatica tra rosso-sangue e nero-morte.
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"Campo di grano con corvi" |

Nell’Ottocento l'olandese Vincent Van Gogh, affetto da
disturbo schizoaffettivo e morto suicida, era tormentato da disturbi
dissociativi con deliri di onnipotenza. Nei suoi primi quadri prevaleva il
giallo, colore del sole e simbolo di energia vitale, maestà e potere ma anche
di una certa agitazione interiore e il blu con la sua voglia di pace e
tranquillità. Van Gogh si ritraeva spesso nei suoi quadri, nell’ultimo periodo
lui diventa il cipresso nero nel “Campo di grano” sorvolato dai corvi, presagio
di morte. La prevalenza, in un secondo momento della sua vita artistica,
dell’arancione (ottenuto giallo più arancio) esprime la sua eccitazione senza
meta e “La notte stellata”, uno dei suoi dipinti più famosi, c’è tutta la sua
voglia di quiete.
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"Golgota" |
Sul finire dell’800 il parigino Paul Gauguin,
post-impressionista, dipingeva “visioni” in cui spiccava il rosso: era afflitto
da disturbo borderline di personalità con episodi depressivi maggiori; si diede
all’alcol, alle donne e contrasse la sifilide, che lo portò alla morte.
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La tigre di Ligabue |
Edvard Munch, tra ‘800 e ‘900, è il pittore
dell’angoscia, tormentato da frequenti attacchi di panico. Infatti il quadro
che meglio lo rappresenta è “L’urlo”, divenuto emblema del periodo storico e
del suo stato mentale: raffigura se stesso terrorizzato, con presagio di guerra
e di morte, che ritornano in altre opere, come il “Golgota” o la “Sera nel
corso”.
Antonio Ligabue invece, artista italiano visionario, era affetto da schizofrenia e “La tigre” esprime l’aggressività
che sentiva dentro di sé, dipinta su un fondo blu che anela alla pace.
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"Veduta di Palazzo e Teatro imperiali" |
Adolf Hitler fu
anche lui artista. Sognava di diventare architetto, ma tanto era bravo nel
disegnare luoghi e palazzi, tanto era negato nel rappresentare i volti delle
persone. Le sue erano più caricature, poco apprezzate dai professori dell’Accademia
di Belle arti di Vienna che non lo ammisero, generando in lui un senso di
sconfitta e alimentando il suo disturbo paranoide di personalità, un narcisismo
maligno che lo portò a desiderare di dominare gli altri e distruggere ciò che
non poteva avere.

Salvador Dalì, pittore catalano tra i più
incisivi del Novecento, fu un visionario con eccezionale capacità tecnica.
Soffriva di disturbo fobico-ossessivo con sadismo sessuale (era impotente) e
nei suoi quadri, per esempio i famosi “orologi molli”, prevalgono il nero-morte
e il blu-desiderio di pace, il senso del tempo che sfugge e il senso di
impotenza.
In tutti questi artisti, come in alcuni quadri realizzati dai
pazienti dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere,
«lo stato di disagio interiore – conclude il dottor Gattoni – spinge l’artista
a esprimere attraverso l’opera d’arte uno stato di tensione inconscia, che
racchiude anche desideri, pulsioni ed emozioni spesso sconosciuti all’autore
stesso. L’arte diventa così catartica, come supporto alle terapie tradizionali,
e aumento dell’autostima nella contemplazione dell’opera finita…».
“Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da
una lucida e visionaria follia”
(Erasmo Da Rotterdam)
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