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martedì 22 settembre 2015

Tiro a volo, Mondiali 2015. Vincere portando nel cuore l'amore di Dio

Il tiro a volo è una delle discipline che contribuiscono al medagliere italiano e proprio la scorsa settimana, sul Garda bresciano, i riflettori dell’Italia sportiva e del mondo sono stati puntati su Lonato per il Campionato mondiale di tiro a volo 2015
Questo evento mondiale ha portato al Trap Concaverde, unico impianto in Italia e in Europa a disporre di ben 12 campi di tiro, oltre 800 atleti da 92 nazioni e decine di giornalisti, tecnici ed esperti del settore tra il 10 e il 18 settembre scorso.

Un ringraziamento particolare a Renato Roberti, autore di questa fotografia, e all’ufficio stampa del Trap Concaverde.
Giovanni Pellielo nella foto di R.Roberti
È argento ai Mondiali di tiro a volo 2015 per Giovanni Pellielo, 45enne vercellese detto “Johnny”, che a Lonato ha provato a rincorrere il quinto titolo mondiale. Dopo un inizio in salita, il traguardo si è tinto d’argento.
La sua corsa si è arrestata alla fine del duello con lo slovacco Erik Varga. Pellielo ha infilato l’ultima cartuccia nel fucile con la vittoria praticamente in pugno, essendo avanti di un piattello, ma doveva posizionarsi e imbracciare il fucile in fretta. Troppo in fretta: «Sono andato in affanno – ha raccontato Pellielo alla stampa – e non ho avuto il tempo materiale di prepararmi che è partito il piattello. Non mi era mai successo». L’ultimo piattello della finale è schizzato a sinistra senza infrangersi. Agli spari supplementari Pellielo è arrivato teso e ha sbagliato il secondo tiro, mancando d’un pelo l’oro mondiale.
«La speranza dell’oro non nego che c’era – dichiara qualche ora dopo il campione a Verona Fedele – ma sono contento perché rispetto a come ero partito, in netta salita, la gara ha preso una bella piega. Il finale poteva essere d’oro, se non sbagliavo quell’ultimo colpo, ma sono soddisfatto per come è andata».
Le sensazioni sul mondiale sono tante, ma non c’è amarezza nelle parole di “Johnny”.
«È stato un campionato del mondo che ha messo a dura prova la mia tensione e i miei nervi. Lo ricorderò solo per la meraviglia di essere arrivato in finale. Mi ritengo una persona normale e so quello che ho fatto. Non traggo mai amarezza dalle competizioni, piuttosto porto via la consapevolezza dei miei limiti per lavorarci, migliorare, senza accanirmi sui risultati. Sarebbe un insulto alla vita sportiva crucciarsi per un secondo posto. Una medaglia d’argento a un mondiale, disputato individualmente, è sempre un ottimo risultato. C’è, sì, la consapevolezza di poter raggiungere un traguardo ogni volta superiore, ma la ricerca è prima di tutto interiore».
Pellielo, del resto, è uomo da circa 50mila colpi l’anno. Uno sportivo con la s maiuscola. Ha iniziato la sua carriera nel giorno del suo diciottesimo compleanno, dopo anni di ballo. Complice la madre, che da tempo praticava il tiro a volo (come anche i fratelli di Giovanni) e lo ha accompagnato per la prima volta in un poligono. Appena quattro anni dopo, è stato convocato per partecipare alle Olimpiadi di Barcellona del 1992, dove si è classificato a ridosso della finale a sei. Da lì, un’escalation di successi: ha vinto sei finali di Coppa del mondo, quattro titoli mondiali, tre titoli europei, 17 prove di Coppa del mondo, 10 titoli italiani, due volte campione ai Giochi del Mediterraneo, la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Sydney 2000, l’argento ad Atene 2004 e a Pechino 2008. Risultati a livello individuale, cui si aggiungono quelli a squadre. Tutte soddisfazioni raggiunte trascorrendo anche 10-12 ore al giorno  in campo. Sacrifici sostenibili grazie alla grande passione e alla motivazione che animano Giovanni Pellielo.
«Nella vita di uno sportivo ci sono due lati – continua l’atleta –: da una parte la soddisfazione del bisogno e dall’altra la motivazione. Se ci si ferma al primo, si è finiti come uomini e come sportivi. La motivazione invece è un qualcosa che non si esaurisce e ti spinge sempre avanti».
Pellielo è uomo di fede, cattolico convinto. E anche questo fa la differenza. Forse è un personaggio atipico nel mondo dello sport, ma che non passa inosservato per le sue riflessioni. Nel 2000 è stato convocato in udienza da papa Giovanni Paolo II in Vaticano, ed è stato premiato con il “Discobolo d’oro” per la morale, alla presenza del cardinale Ruini.
La fede per lui è un insegnamento e un invito al miglioramento continuo, nella vita come nello sport. «Non può finire con la medaglia, che è un momento di gloria, ma bisogna andare oltre – afferma –. Non possiamo vivere di speranze e di ricordi, ma dobbiamo sempre fare del nostro meglio». Come? «La preghiera aiuta a migliorare noi stessi, a scavare più a fondo dentro di noi».
Viene spontaneo chiedergli se un atleta del suo calibro, prima di un mondiale, preghi per la vittoria. «Non prego mai per chiedere aiuto o avere maggiore forza nelle gare, prego per necessità diverse, come ci insegnano papa Francesco e i padri della chiesa, come nel Padre nostro». Vincere è anche «avvicinare la preghiera al fare quotidiano» e «avere negli occhi l’amore di Dio».
Manca l’oro olimpico nel palmares di Giovanni Pellielo, ma lui non se ne fa un cruccio. «È l’unico colore che mi manca e cercherò di farcela. Altrimenti si va avanti lo stesso. Il tiro a volo è la mia vita e continuerò a praticarlo».
Francesca Gardenato
(articolo pubblicato sul settimanale Verona Fedele)

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