È una generazione
ormai completamente digitalizzata, che imbastisce buona parte delle
relazioni sui media, lontana dai grandi
valori di solidarietà, impegno e partecipazione.
Sono i giovani
del Basso Garda, al centro di un’indagine sociale e di un convegno promossi
dal Centro di pastorale giovanile del
lago bresciano (JLB).

Risultato:
poco meno di un giovane su due si dichiara cattolico, mentre
chi vive a contatto con àmbiti parrocchiali è meno esposto a comportamenti a
rischio.
Le riflessioni
Al centro della mattinata, aperta dal sindaco
di Desenzano Rosa Leso e conclusa
dal vescovo mons. Giuseppe Zenti,
l’intervento di Valerio Corradi, docente
di Sociologia del territorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Brescia e coordinatore dell’equipe che ha curato la “Ricerca sulla condizione
giovanile nel territorio gardesano”. A commentare la fotografia attuale, con
riflessioni sulla vita scolastica e familiare dei giovani d’oggi, è intervenuta
la psicologa Valentina Pasqualetto,
collaboratrice di Iner Verona, educatrice all’affettività e alla sessualità,
che ha rimarcato l’importanza di «fare rete nell’educazione», di «una scuola
capace di intercettare le doti dei ragazzi e incentivarle» e di «una famiglia
presente, che non deleghi».

Don
Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale di pastorale
giovanile, ha focalizzato l’attenzione proprio sulla pastorale giovanile
nell’attualità del nostro tempo e sull’importanza che le comunità parrocchiali
siano i veri «luoghi di esperienze social», «generatori di valori e di fede»,
capaci di testimoniare «una spiritualità vicina alle cose e alla vita di tutti
i giorni».
Mentre Giovanni
Mazzi, direttore della Fondazione Exodus Onlus ha raccontato,
attraverso storie di vita in comunità, l’operato di Exodus rimarcando
l’importanza della prevenzione e del recupero di giovani che hanno abusato di
alcol o di sostanze.
Al vescovo Giuseppe Zenti (nell'immagine a destra) il delicato compito di concludere i lavori. Al centro la speranza: «Abbiate
fiducia – ha detto rivolgendosi ai molti laici, parroci ed educatori presenti –
qualcosa in questa parte di diocesi si sta muovendo. Ciò che è seminato
germoglierà col tempo... La possibilità di fare qualcosa per i nostri giovani, ora,
è più di un sogno, è una profezia».
Un plauso a don Alessandro Turrina, che con la sua equipe di giovani del Centro
JLB, ha organizzato il convegno e lavorato per la riuscita della ricerca e di
una serie di eventi collegati.
Chi
sono i giovani del Garda?
La rilevazione effettuata tra settembre 2014 e marzo 2015 nell’area bresciana del Garda è
frutto delle interviste a cui hanno risposto, via internet, 915 giovani, un
campione rappresentativo di circa il 10%
della popolazione giovanile della zona indagata, bilanciato tra maschi
(49,8%) e femmine (50,2%), con una distribuzione piuttosto omogenea delle
diverse fasce d’età. Il 23,2% dei rispondenti risiede a Desenzano, il 30,6% a
Lonato, Sirmione e Pozzolengo, il 13% nei paesi della Valtenesi e il 33,2%
fuori territorio.

La
fotografia che ne deriva è quella di «una generazione che comunica
molto, ma fatica a instaurare relazioni – ha commentato il dottor Corradi (nella foto a lato) – mostrando un deficit di empatia. Adolescenti e
giovani sembrano vivere in una perenne crisi d’identità, frutto di una perdita
di modelli e riferimenti esterni “alti e forti”, che riguarda anche coloro che
dovrebbero assumere un ruolo educativo nei loro confronti».

In merito al rapporto con la religione e il mondo ecclesiale, emerge che il
48,7% degli intervistati si dichiara cattolico, il 15,5% è non credente e
l’8,6% agnostico, il 12,3% crede in un’entità superiore, l’1,5% guarda alle
religioni orientali e l’11% si dichiara genericamente cristiano. «L’adesione al cattolicesimo risulta
inferiore alla media nazionale, ma in linea con i dati del Nord Italia
(Toniolo-Ipsos, 2014, ndr)», ha precisato il docente di Sociologia. Se
guardiamo poi all’osservanza delle pratiche religiose: solo un giovane su
cinque va a Messa ogni settimana. Però solo il 21,7% non ci va mai, il 33% una
o due volte l’anno, il 23,2% una o due volte al mese.
Il quesito è: perché adolescenti e giovani
si allontanano dalla parrocchia?

I motivi principali sono la scarsità di tempo e
di motivazione, rapporti problematici con gli adulti (parroci, curati,
catechisti, proposte noiose e con scarsa attrazione, ostilità verso
l’istituzione, distacco inteso come tappa di maturazione “post-Cresima”). Anche
nel tempo libero gli spazi parrocchiali
hanno un ruolo secondario. Per il tempo libero, le proposte più gettonate sono quelle
delle associazioni sportive; il 64% oggi non conosce il centro di pastorale
giovanile JLB.
I luoghi di ritrovo più
apprezzati sono i bar e pub (50,7%), seguiti dalle case private (44%) e
dalle strutture sportive (31,4%); solo il 22,4% indica l’oratorio e la
parrocchia come spazio fisico per le relazioni amicali.
Altra area indagata sono i valori e l’attitudine verso la vita. Qui, a sorpresa, la famiglia è al primo posto (77%),
seguita dall’amicizia (56,7%) e dall’amore (40,1%), privilegiato dopo i
vent’anni e più dalla ragazze; lo sport conta per il 18,3% e la religione per
il 5,9%.
Il
grado di soddisfazione per la vita è buono (la zona lacustre si conferma un’oasi piuttosto felice): il 18,7%
si dichiara molto soddisfatto e il 57,1% abbastanza. Per la fiducia e le figure
di riferimento vince la mamma, seguita
da famiglia, padre e amici. La famiglia è considerata un valore per la più
parte dei giovani: protegge e rassicura.
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Giovanni Mazzi, della Fondazione Exodus Onlus, nipote di don Antonio Mazzi |
Non
stupisce l’iscrizione ai social network, che dai 15 anni in su
interessa oltre il 93% del campione (82,5% nei 13/14enni) ed esprime un atteggiamento di voyerismo che spinge alla ricerca di approvazione nella
condivisione di parole, foto e video di sé. Malgrado il 34,9% indichi la salute
come un valore importante, circa il 46%
degli intervistati dichiara di abusare di alcol, e il consumo aumenta con
l’età. Mentre l’assunzione di sostanze è
ammessa ‘solo’ dal 18% degli intervistati, preoccupano l’abbassamento
dell’età dei primi contatti con le sostanze (13-14enni a rischio) e il
coinvolgimento sempre maggiore delle ragazze. Molto interessante è come chi è vicino al mondo cattolico sia meno
portato ad assumere rischi di alcol, droghe o altro (vale per quasi il 70%).
Conclusioni
Ora, con la ricerca in mano, che fare?
«Dai
dati – ha concluso Corradi – occorre passare alla pratica. Ovvero a un ascolto
attivo dei giovani. Creare un tavolo di lavoro permanente che li riguardi,
usare nuovi linguaggi e spazi virtuali per dialogare con loro, fare più
formazione negli oratori per renderli luoghi di accoglienza moderna. Unire le
forze nella pastorale e nelle azioni educative».
Articolo pubblicato sul settimanale diocesano, Verona Fedele, numero del 26 aprile 2015 (www.veronafedele.it). Fotografie di Fulvio R.